Versione italiana a cura di Renzo Ardiccioni
SOTTOMISSIONE E DOMINAZIONE
(Prof. Bruno Lussato)
Introduzione
Il fascino della schiavitù Se non vado errato, era proprio de Tocqueville a sostenere che non ci sarebbero così tanti tiranni se gli schiavi non ci trovassero il proprio tornaconto. La mia esperienza nel mondo delle imprese mi ha dimostrato che i dirigenti stessi, nonostante le loro rivendicazioni per una maggiore autonomia e decentralizzazione, respingessero infine una libertà che implica sempre responsabilità e rischi di sanzioni. La centralizzazione ha questo di buono: a patto che il subordinato obbedisca servilmente agli ordini del suo superiore, sarà relativamente tranquillo. Ciò è ancora più vero nelle megaimprese pubbliche e nelle ammistrazioni burocratiche, laddove il cervello destro è esente da ogni giudizio di valore e il cervello sinistro assolve con regolarità i propri impegni formali. (cf. la teoria bicamerale di Jaynes, in Virus).
Il best-seller di Jonathan Littel, Les Bienveillantes, descrive molto bene questo stato d’animo denunciato da Hannah Arendt e confermato sperimentalmente dalle esperienze di Milgram. Si constata che quando l’essere umano è “sdoganato” dall’autorità e dispensato da ogni giudizio di valore, allora diventa più spietato di un robot terminator. Bisogna tuttavia tenere conto del fatto che non tutte le culture hanno questa propensione al servilismo, ma possono rifiutarlo oltre una certa soglia di barbarie. Littel osserva giustamente che se la Germania e la Francia si distinsero per una sottomissione consapevole all’orrore, i danesi e gli italiani si rivoltarono e rifiutarono le direttive imposte dai nazisti, causando un’estrema irritazione di questi ultimi.
La dialettica sottomissione-dominazione si trova allo stato puro nel rapporto fra padrone e schiavo, attivo e passivo, signore e vassallo. Se ne trova anche un esempio nella “dhimmitude”, quello stato di sottomissione imposto dai musulmani rispettosi del Corano verso gli infedeli che devono pagare con tributi e marchi di subordinazione il privilegio di essere tollerati.
Il fattore “K” e la sindrome di Stoccolma
“Bisogna aiutare i propri alleati e combattere i propri avversari”, diceva Luigi XIV. Ciò che sembrerebbe una verità lapalissiana non si concilia con la tendenza apparsa verso la metà del secolo scorso alla sottomissione o addirittura al tradimento lecito. Il nuovo paradigma potrebbe enunciarsi così: “Bisogna aiutare i propri avversari e combattere i propri alleati” che si declina in un numero infinito di posture politicamente corrette. “Bisogna nutrire il cocodrillo per addomesticarlo”. Bisogna tollerare la trave dei nostri peggiori nemici ma, scrupolosi nella discriminazione positiva, denunciare invece la pagliuzza nel nostro campo e in quello dei nostri amici.
La tipica manifestazione del suddetto fenomeno è conosciuta col nome di « sindrome di Stoccolma », descrivendo il comportamento di vittime di un rapimento, che presero le difese dei loro rapitori contro le forze dell’ordine venute a liberarli. Tale sindrome si manifesta nei casi estremi in cui le vittime indifese vengono rinchiuse per un po’ di tempo in un luogo isolato, con dei carnefici pronti a ucciderle per il proprio sadico piacere giocando al gatto e al topo.
Françoise Sironi a descritto nel suo magistrale libro sulla tortura, un processo simile alla sindrome di Stoccolma. La vittima finisce per sposare la causa del suo carnefice, rinnegando il proprio campo e i propri valori. Anche in questo caso si profila lo stesso paradigma: isolamento, rapporto di forza schiacciante fra preda e predatore, alternanza fra sofferenze e gratificazioni, fra bastone e carota.
Il punto d’arrivo di tale processo è ciò che chiamiamo la sindrome di Stoccolma anterograda (SSA). Il sottomesso in potenza finge di trovarsi nella situazione del rapito o della vittima di un torturatore. Egli s’immagina in un ghetto, preso in trappola, senza alcuna via d’uscita se non quella di sottomettersi al carnefice onnipotente. Lo slogan “Meglio rossi che morti” che imperversò in Germania durante la guerra fredda, spingeva i giovani intellettuali tedeschi a cedere ai comunisti sovietici per paura di una terza guerra mondiale. La SSA spinge la vittima potenziale (che può essere una comunità, una cultura, una nazione), a militare in favore del proprio nemico, sperando di evitare uno scontro e scoraggiando ogni resistenza del tipo “né rossi, né morti”.
Virus, otto lezioni sulla disinformazione (purtroppo non ancora tradotto in Italia, ndt) nell’ultimo capitolo “Trappole” dimostra come le vittime della SSA disinformano con successo l’opinione pubblica delle democrazie occidentali conducendola a sottoscrivere il loro proprio annientamento. Mette in evidenza un “fattore K” o captazione, che si ritrova nel regno vegetale e animale così come in alcuni racconti, leggende e miti dell’antica Grecia. In questa categoria, daremo qualche esempio che arricchiranno la tesi sostenuta in “Trappole”. S’invita il lettore ad arricchire con le proprie esperienze questo paradigma fortemente astratto e non validato. Si tratta per ora soltanto di una pista in cui ogni miglioramento e critica costruttiva saranno sempre benvenuti.
(traduzione di Renzo Ardiccioni)