Masterclass 10 Prof. Bruno Lussato, traduzione Renzo Ardiccioni
Partire dalla parapsicologia per capire la psicologia
e non dalla psicologia per capire la parapsicologia
Elementi per una teoria dell’informazione psicologica
Introduzione
Di fronte all’affluenza constatata per tutto ciò che concerne la parapsicologia e la fisica quantica, ritengo utile consacrare dei master classes specifici a questa branca “maledetta” della psicologia. Avverto il lettore che non vi troverà nulla di troppo astratto o noioso. Per di più, alcune idee molto nuove al momento delle prime stesure degli “elementi per una teoria dell’informazione psicologica” furono pian piano riprese o pubblicate posteriormente ai miei lavori. Da un punto di vista positivo, si potrebbe dire che ero un precursore, dal lato negativo che avevo riscoperto l’acqua calda.
Ad ogni modo, il lavoro originale interrotto nel 1970, quando divenni titolare di cattedra, non fu mai ripreso, tranne che nei lavori dell’ISD che trattavano piuttosto l’influenza che la precognizione.
Dopo una lunga assenza, ho pensato utile ritracciare la genesi che mi ha condotto a produrre un corpus eccezionalmente complesso con più di 300 definizioni e asserzioni, tutte in relazione fra loro in uno schema coerente. Capite bene anche la ragione che mi ha spinto ad abbandonare ciò che mi era più caro: contribuire a far avanzare la scienza in questo settore. Ma sopravvalutavo allora le capacità dei parapsicologi, sterili per ciò che riguarda le prove e ancor più per le scoperte sensazionali.
Ho cominciato a interessarmi ai fenomeni “psi” mentre studiavo ingegneria, pensando che se si fosse posto come assioma che essi corrispondessero alla realtà, allora tutta la nostra visione del mondo ne sarebbe stata sconvolta. Era urgente indagare le conseguenze del fattore “psi” sui nostri postulati behavioristi all’epoca predominanti. In altre parole, bisognava includere nel corpus dei fatti psicologici anche i fatti parapsicologici accordando loro uno statuto di realtà – almeno per i più convincenti come la telepatia e la precognizione – come per tutti gli altri fenomeni studiati dai laboratori scientifici.
Posi allora come principio pragmatico e rivedibile, l’assioma che molti grandi ricercatori, da Freud e Jung a Murphy o Soal, e dei seri laboratori che usavano protocolli scientifici sempre più rigorosi, non potessero sbagliarsi tutti ingannando per decenni tutta la comunità scientifica. Tale assioma sembrava ancora più convincente, visto che le critiche dirette ai ricercatori erano più intenzionate a disinformare il pubblico che a informarlo, con l’obiettivo più o meno velato di scoraggiare le ricerche e discreditare coloro che le conducevano.
Non ho voluto pronunciarmi sul fondo stesso delle ricerche. Una sola certezza mi animava: la posta in gioco, sia teorica che pratica della parapsicologia, esigeva lo stanziamento di fondi cospicui al fine di esplorarne le possibilità d’occorrenza e la maniera di causare eventi macroscopici piuttosto che rifiutarli a priori col pretesto che gli istituti seri non devono fare ricerche sulla parapsicologia!
Non potendo influenzare gli accademici, sono partito da una revisione radicale, una sorta d’inventario concettuale del nostro sistema mentale, sempre a partire dall’assioma che include l’evento parapsicologico, in particolare due caratteristiche essenziali:
1) La non-separabilità di certe immagini mentali che si trovano qui e agli antipodi simultaneamente (telepatia).
2) La possibilità dell’informazione di percorrere a ritroso la freccia del tempo (precognizione).
Si veda in particolare il paradosso di Dunne. Ciò mi ha portato alla conclusione che siccome la psicologia classica non poteva rendere conto di questi due elementi, bisognasse semplicemente cambiarla per adattarla alla parapsicologia.
Seguendo il filo del ragionamento, si arrivava all’inferenza necessaria che il nostro sistema psicologico racchiudesse delle informazioni che potevano viaggiare all’indietro o in avanti rispetto alla linea dell’universo, secondo una quinta dimensione, e che tali informazioni potessero trovarsi “qui e là”, invalidando (validando?) l’assioma di separabilità. Il risultato era che il conscio e il suo substrato comprendessero delle particelle portatrici d’informazione, sprovviste di materia, di energia, e “piatte” nel tempo theta o dimensione 5. Rimaneva da chiedersi come un mondo senza materia né energia né linea d’universo, potesse comunicare con un mondo fisico materiale. Sono dunque andato a trovare Piaget a Ginevra e Charles Osgood a Urbana per discutere a lungo con loro. Piaget mi aprì il suo immenso trattato di psicologia sperimentale, scritto con Paul Fraisse, autore di una psicologia del tempo. Questo paradosso lo intrigava profondamente e né la tesi parallelista (che implica un fenomeno di risonanza misteriosa fra i due mondi) né la tesi interazionista (esiste un mediatore materiale e immateriale al tempo stesso) non lo soddisfacevano. E neppure me. Per sfortuna, in questo periodo, la tesi dei tre mondi di Popper non era molto diffusa, soprattutto fra gli psicologi, e i lavori di Sir John Eccles, che davano una risposta, erano molto confidenziali.
Me la sono cavata con un’astuzia linguistica, postulando l’esistenza di equivalenti psichici ai processi biologici, che chiamai “rappresentazioni”. Il conscio diventava un “campo di rappresentazione, R” sprovvisto di massa e di energia. Si dà il caso che il concetto di energia sia fondamentale in psicologia, che lo si chiami neurino, drive, libido, cathexis, energia psicologica etc. Mi sbarazzai di tutto ciò e inventai un neologismo col concetto associato: l’ergia. Contrariamente ai concetti in vigore che si riferiscono tutti a un’energia materiale, l’ergia era definita in modo del tutto diverso, a partire da una dinamica non materiale delle rappresentazioni. La chiave di volta era la nozione di conocorrenza fra rappresentazioni per assicurarsi il passaggio il passaggio nel campo R (cioè l’affioramento nella coscienza) o perfino la presa di controllo totale (ossessioni).
Tirando le mie conclusioni, pervenni a uno stadio abbastanza avanzato per proporre dei protocolli sperimentali. Ma fui scoraggiato dallo stesso Piaget: sono degli abbrutiti, non c’è da ricavarne nulla, mi dia retta, il più grande psicologo del XX secolo, David Rapoport, non riesce nemmeno a farsi pubblicare. Non ammetteranno mai la tesi della specificità del conscio. Anch’io ci ho rinunciato. Osgood mi fece lo stesso discorso. Il behaviorismo trionfante l’aveva costretto a codificare la sua teoria della differenziazione semantica con tonnellate di circonvoluzioni. Si era rassegnato con amarezza. Con l’entusiasmo e la mia sfrontatezza giovanile, chiesi al professor Simondon (mi pare che si chiamasse così), raccomandatomi da Piaget in persona come meno fanatico di Fraisse, di aiutarmi a realizzare i protocolli sperimentali. Quell’uomo affascinante mi ascoltò con attenzione, mi fece i complimenti e m’incaricò di studiare... il comportamento delle amebe.
Mi restava soltanto una via ufficiale: la mia cattedra di Teorie dell’informazione. Essendo il titolare di questa cattedra di Stato, avevo il diritto di scrivere ciò che mi pareva a condizione di poter dimostrare che ci fosse un collegamento con la mia specialità. Mi fu sufficiente nominare i fenomeni telepatici come “dinamica delle informazioni avanzate” per far passare il messaggio, a Wharton compreso. Intanto, i lavori di Eccles erano stati pubblicati, mentre Arthur Koestler e Popper diffusero meglio di me la nozione di specificità del conscio, e comunque... perfino questi grandi illustri non ottennero ascolto, un Rupert Sheldrake fu scomunicato, Jung e Freud sconfessati... Avevo di meglio da fare che lottare controcorrente. L’informatica era appena nata trasformando la nostra visione dei sistemi a vasta scala e io mi dirigevo verso un settore senz’altro più vantaggioso sotto tutti gli aspetti.
Soltanto adesso, misurando la stagnazione dei concetti dall’epoca della mia gioventù tumultuosa, l’accanimento terapeutico di chi vuole convincere a tutti i costi gente che non lo vuole, e il perfezionamento crescente degli strumenti sperimentali, mi sono detto che sarebbe forse utile riprendere questi elementi per una teoria e diffonderli poco a poco in questi masterclasses molto particolari. La prossima sarà consacrata alla chiave di volta dell’insieme, la nozione di campo di rappresentazione R (specificità del conscio), della statica delle rappresentazioni (struttura delle organizzazioni semantiche) e della dinamica delle rappresentazioni (nozione di “ergia”).
(traduzione di Renzo Ardiccioni)